ELASTOGRAFIA SHEAR WAVE: LA NUOVA FRONTIERA DIAGNOSTICA PER VALUTARE LA MALATTIA EPATICA
grafiaCon il termine epatopatia cronica si indicano tutte quelle patologie infiammatorie croniche del fegato che possono determinare un’alterazione della struttura dell’organo, danneggiandone la funzionalità fino al completo malfunzionamento.
La più comune è la steatosi epatica che significa accumulo di grasso nel fegato, per questo viene anche chiamata anche “fegato grasso”. La definizione corretta è “steatosi epatica non alcolica” (acronimo di NAFLD) per distinguerla dal tipo di steatosi che compare in consumatori di moderate-elevate quantità di alcolici.
La steatosi rappresenta la prima causa di malattia epatica cronica, basti pensare che in Italia circa 1/4 della popolazione tra i 18 e i 65 anni ne sarebbe affetto, con una prevalenza maggiore nei pazienti obesi e diabetici.
Il Prof. Antonio de Fiores, ecografista presso la Clinica Guarnieri illustra l’elastografia shear wave: la metodologia non invasiva per valutare il grado di malattia epatica.
La tecnica viene utilizzata per diagnosticare la steatosi epatica non alcolica (NAFLD), steatoepatite non alcolica, (acronimo di NASH) condizione che differisce per la presenza, oltre che di grasso a livello epatico, anche di infiammazione e di danno a carico delle cellule dello stesso organo, la fibrosi alcolica e l’epatite C.
Il fegato nel grasso: come si accumula e perché è pericoloso
È normale che una certa quantità̀ di grasso si concentri nel fegato, ma quando la percentuale supera il 5 % del peso dell’organo allora si sviluppa la malattia.
Il grasso si accumula perché́ arriva al fegato troppa energia, sotto forma di acidi grassi, che provengono da un eccesso di zuccheri e grassi (come succede nel diabete e nell’obesità). Questi acidi sono tossici per il fegato, perché́ ossidano e danneggiano i mitocondri, le “pile” che producono l’energia necessaria per la vita della cellula. Il fegato cerca di proteggersi neutralizzando e accumulando gli acidi grassi sotto forma di goccioline di trigliceridi.
“In altre parole – commenta il medico – è un po’ come se tenessimo il cellulare costantemente in carica: alla fine la batteria si danneggia e il cellulare smette di funzionare”.
Dalla sofferenza cronica alla fibrosi epatica: gli stadi
“La sofferenza cronica del fegato nel tempo si evolve in fibrosi epatica, che si realizza quando il fegato cerca di riparare e sostituire le cellule danneggiate con tessuto cicatriziale”, dichiara il Dott. De Fiores.
Questo avviene in 4 stadi progressivi:
lieve (grado 1): la fibrosi è limitata alla zona della vena porta;
moderato (grado 2): la fibrosi comincia ad estendersi creando dei noduli cicatriziali;
medio (grado 3): la fibrosi arriva fino al centro dell’organo;
severo (grado 4): il fegato è permanentemente danneggiato e il tessuto cicatriziale ne impedisce il corretto funzionamento. A questo grado si parla di cirrosi epatica.
Le tecniche diagnostiche per valutare la fibrosi
“Mentre in passato per valutare il grado di fibrosi epatica si utilizzavano tecniche invasive, come la biopsia del fegato, oggi sono a disposizione degli esami non invasivi che permettono di valutare l’elasticità del fegato che correla con il grado di fibrosi. Si tratta di esami ecografici che utilizzano ultrasuoni, non invasivi, ripetibili, privi di effetti collaterali, facilmente eseguibili in ambulatorio.
Tra questi quello più utilizzato è l’elastografia shear wave,, che ha sostituito in pieno la biopsia epatica e che è in grado di valutare la presenza della cirrosi epatica.
“Si tratta di un esame specifico che studia il fegato misurandone la steatosi, vale a dire l’accumulo di grasso e il grado di fibrosi, cioè l’indurimento del tessuto epatico.
“L’esame non invasivo, prosegue il medico, si svolge esattamente come un’ecografia dell’addome: la sonda viene applicata sulla cute del costato a destra, l’impulso generato dall’apparecchio determina la propagazione di un’onda elastica la cui velocità, misurata per mezzo degli ultrasuoni, è direttamente correlata alla rigidità del fegato che è a sua volta dipendente dalla quantità di fibrosi”.
Non si tratta di un esame né doloroso né pericoloso e può essere indicato anche per persone portatrici di pacemaker o per donne in stato di gravidanza.
“Dura circa 10/15 minuti e richiede come unica forma di preparazione un digiuno di sei ore, precisa il dottor de Fiores.
Il suo esito può suggerire il percorso di cura più adatto per la steatosi che può consistere in una dieta mirata, nel cambio dello stile di vita o in un trattamento farmacologico”.
L’elastografia Shear-wave figura tra gli esami che si possono eseguire nel reparto di Diagnostica per Immagini della Clinica Guarnieri. L’elastografo è di ultima generazione e consente un esame rapido e accurato.